C’era una volta e una volta non c’era: il mono incantato delle fiabe russe

Le fiabe russe (in russo: Сказки [skazki]), come quelle di tutte le altre culture, hanno origini antichissime: anche se non esistono datazioni precise possiamo affermare che le fiabe orali iniziarono a circolare dopo il passaggio da una società nomade e cacciatrice a una società sedentaria e agricola, e vennero tramandate di generazione in generazione finché non furono trascritte nel corso del XIX secolo. La fiaba trae le sue origini dalla realtà e dalla quotidianità. Gli elementi appartenenti alla fiaba come le creature fantastiche, gli animali parlanti e gli oggetti magici non sono frutto della fantasia di un autore – come invece avviene per la favola – ma sono spiegazioni di una tradizione e di una cultura che ormai non ci appartiene più, e di cui è rimasta solamente la vena fantastica tramandataci dai racconti popolari e appunto dalle fiabe.

La nascita della fiaba è imputabile alla necessità di mantenere vive le tradizioni attraverso lo scorrere del tempo: mentre la società progredisce, l’umano si evolve e il progresso si sviluppa, le usanze e i costumi rimangono impressi nella mente delle persone attraverso racconti e fiabe. Ma ciò che bisogna tenere a mente è che la fiaba non nasce in concomitanza con queste tradizioni, bensì dopo. Quando quelle tradizioni non fanno più parte della società, e sono diventate parte del passato, le persone iniziano a comporre fiabe che raccontano di questo passato. Pertanto non possiamo limitarci a prendere per dato di fatto tutto ciò che viene descritto nelle fiabe, perché come ogni evento narrato a posteriori entrano in gioco modificazioni e cambi di mentalità, che fanno sì che si guardi al passato da un’altra prospettiva.

Le fiabe russe però, precisiamo subito, non hanno fate, esserini celesti che trasformano zucche in carrozze o topi in cavalli. In russo infatti, sono chiamate “skazka” che significa letteralmente “ciò che si dice”, quindi “storia”; niente a che vedere con l’inglese “fairy tales” o il francese “contes de fées”. Ciò non toglie che vi siano personaggi bizzarri, grandi cavalieri, ragazze straordinarie, principesse rane, uccelli di fuoco e tanto altro.

«C’era una volta e una volta non c’era»: così inizia la storia di Vassilissa, e già da questa prima affermazione possiamo capire che le fiabe russe parlano di un mondo “altro”, che somiglia alla realtà e tuttavia non lo è.  Le fiabe possono esser viste come il ritratto di un popolo e per questo importanti per conoscerne la cultura e le tradizioni; un mondo ricolmo di bellezza, poesia e colori sfavillanti come quello che ritroviamo nella più grande raccolta, una collezione di 640 fiabe, ad opera di Aleksandr Afanas’ev e pubblicata tra il 1855 e il 1863. Si tratta probabilmente della più grande raccolta di fiabe che sia stata mai compilata da una sola persona.

Afanas’ev raccolse e interpretò i racconti del popolo russo, andando a recuperare dei tentativi precedenti di altri autori e ascoltando i racconti dei contadini. Divise le fiabe in tre tipi: racconti di animali, racconti magici e racconti della vita di tutti i giorni. La raccolta di Afanas’ev fu tanto precisa, ricca e accurata che ebbe immediato successo in Russia, sia a livello popolare che negli ambienti artistici, e segnò una svolta nella ricerca e nello studio della tradizione orale, così come i Grimm avevano fatto in Germania. Il successo della raccolta influenzò il metodo di ricerca e studio delle tradizioni orali, e l’opera ha fornito le basi per gli studi di Vladimir Propp.

I protagonisti delle fiabe popolari russe vivono nel misterioso Regno al di là dei Monti e degli Oceani e non sanno proprio cosa sia la noia: c’è chi supera prove di ogni genere per adempiere al volere dello Zar oppure ottenere una bella moglie, chi invece è costretto a difendere la propria terra o la famiglia da terribili creature.

Scopriamoli quindi insieme!

La terribile strega Baba Jaga (in russo Баба-яга), ad esempio, è il nome per eccellenza quando si parla di fiabe russe: una vecchina curva, dall’aria cattiva e il naso lungo, le unghie ricurve e un aspetto minaccioso. La Baba Jaga assomiglia alla nostra Befana, ma invece di portare doni ai bambini, solitamente li mangia. Vive in un bosco impenetrabile, in una casa con le zampe di gallina, e vola nel cielo con una scopa e un mortaio. I malcapitati che si trovano ad aver a che fare con lei, mandati di solito da un parente geloso, sono sottoposti a mille prove, che permettono di ricevere aiuti e ricompense dalla strega se superate.

«Casetta, casettina, vòltati con la faccia verso di me e il dorso verso il bosco…

Casa, casettina! Mettiti come prima, come ti ha messo mamma…»

Nelle fiabe russe tradizionali non può mancare lo zar. Anche se non è uno dei protagonisti principali, il sovrano di Russia svolge sempre un ruolo importante per la storia, perché è il sogno di tutte le ragazze del regno in età da marito ed è circondato da amici e nemici. Nelle fiabe russe, di solito lo zar invia l’eroe a recuperare qualcosa: che sia una principessa saggia o un cavallo magico, si tratta sempre di qualcosa di essenziale ai fini dello svolgimento del racconto. Un bell’ esempio di questa trama è la fiaba di Puškin, Lo Zar Saltan. In questa fiaba lo zar viene separato con l’inganno dalla moglie e dal figlio, e soltanto dopo mille peripezie e soprattutto grazie all’ aiuto di una principessa magica sotto le spoglie di un cigno, la famiglia si ritrova.

Altro personaggio simbolo è Kikimora (in russo кики́мора) che rappresenta il maligno. Si possono distinguere due tipi di Kikimora: quella di palude (la moglie dello spirito del bosco) e la “domovicha” (la moglie del “domovoj”, uno spirito della casa). Nelle fiabe la Kikimora di palude si presenta come una vecchia signora agghindata di alghe. Il suo compito è spaventare chi capita nella palude, attirare i viandanti nella melma e rubare i bambini piccoli. La “domovicha” invece vive tranquilla in casa e si mostra alle persone molto più di rado del marito. Secondo le antiche credenze le annegate o i bambini morti senza battesimo diventavano Kikimora. La più famosa fiaba che ne parla è “Kikimora” di Alexei Tolstoj.

Ivan lo Scemo, di norma figlio minore di una famiglia contadina, è sostanzialmente l’eroe della storia. Nelle fiabe russe infatti, non manca l’eroe maschile, com’è dovuto: talvolta è un principe, ma spesso è un arciere al servizio dello zar, o semplicemente l’ultimo dei tre figli di un vecchio contadino, magari neanche troppo brillante. Lev Tolstoj sceglie proprio il personaggio di Ivan lo stupido per scrivere la celebre fiaba omonima: un ragazzo che tutti deridono, semplice e ingenuo, ma anche giusto e sensibile. La sorte farà di lui un vero eroe grazie alle sue scelte assennate a fronte delle smargiassate inconcludenti dei fratelli maggiori. Le sue azioni non sono guidate dall’ intelligenza; agisce senza pensare, chi gli sta intorno non lo prende sul serio e nel migliore dei casi lo tratta con indulgenza, ma capita anche che lo prenda a bastonate. Ivan lo Scemo non ama lavorare e sembra che non sia in grado di cavarsela con i compiti più basilari, arrecando alla sua famiglia o al datore di lavoro soltanto danni, nonostante ciò, gli va spesso bene e grazie a qualche aiuto inaspettato riesce a fare come per magia tante cose che risultano fuori dalla portata di altri eroi. Pur in tutta la sua apparente inutilità Ivan lo Scemo svolge una funzione importante: con le sue gesta sconsiderate tiene allegri e diverte tanto gli altri personaggi della fiaba quanto il lettore, dimostrando inoltre che anche gli ultimi possono essere i primi.

La principessa rana invece, rappresenta la moglie ideale: bella e intelligente, giudiziosa e arguta, efficiente e fedele. Per di più fa magie e ha a disposizione un esercito di mamme-balie e perciò non esistono per lei compiti irrealizzabili. Un dettaglio soltanto: per ordine del suo potente padre è costretta ad assumere per tre anni le sembianze di una rana e a mostrarsi in questa veste al suo promesso, Ivan Zarevich. La fiaba omonima gioca con un’intera serie di elementi delle trame fiabesche: c’è la parte rituale – il figlio dello zar trova la rana con l’aiuto di una freccia che ha lanciato – e la rottura del divieto: Ivan dà fuoco alla pelle della rana e perde l’amata, per questo gli toccano in sorte delle prove che egli supera, riuscendo così a recuperare sua moglie.

Ancora, Koshej, lo scheletro senza morte o immortale (in russo Кащей Бессмертный) è invece un oscuro zar. Spesso appare sotto forma di un vecchio magrissimo, a volte a cavallo. È immortale per modo di dire: per ucciderlo bisogna rompere un ago magico che è nascosto dentro un uovo, l’uovo dentro un’anatra, l’anatra in una lepre, la lepre in un baule dentro una quercia. In alcune fiabe è un cavallo a dare la morte al Koshej. La sua storia personale è alquanto triste; una delle fiabe a questo proposito, “Il Koshej-bogatyr”, racconta di come il Koshej fosse stato un tempo un bogatyr (guerriero), tradito dai suoi alleati e catturato dai nemici. Passarono molti anni, le catene si arrugginirono ed egli si liberò, iniziando a vendicarsi. Sovente Koshej l’immortale tiene prigioniere le fidanzate dei protagonisti. Così avviene nelle fiabe “Koshej l’immortale”, “Marja Morevna”, “La principessa rana”.

L’uccello di fuoco invece, è la variante russa della Fenice, ma più spesso è soltanto un’esca per i prodi che cercano gloria e ricchezze. È un grande uccello di straordinaria bellezza e dal piumaggio infuocato: “Le sue penne sono d’oro, e gli occhi simili al cristallo d’Oriente”. In realtà, nonostante l’apparenza nobile, lo si può spesso pizzicare mentre mangiucchia senza permesso le mele del giardino imperiale o scovarlo tra il frumento che ricopre il campo. All’ eroe delle fiabe a volte spetta il compito di trovare una penna dell’uccello di fuoco e per ingenuità la porta in dono allo zar, senza sapere che gli causerà soltanto guai: una volta presa la penna, che illumina come una moltitudine di candele, gli zar di solito vogliono l’uccello tutto intero e mandano gli eroi verso mille avventure.

Al luccio invece, gli antichi slavi gli attribuiscono varie terribili caratteristiche: si riteneva che questo tremendo pesce potesse inghiottire una persona che si muovesse nel suo regno acquatico. Nella fiaba popolare russa il luccio ha dimensioni minori e assume un carattere innocuo. Incontrarlo non è più ormai un pericolo, ma una grande fortuna visto che esaudisce i desideri. All’ inizio però bisogna acchiapparlo, come fece Emelja lo Scemo nella fiaba omonima, e poi liberarlo di nuovo nell’ acqua. Non c’è un limite al numero di desideri: Emelja per esempio ne aveva espressi ben otto.

Il genio dell’acqua. In alcune fiabe è il re del mare. Il più delle volte nella mitologia slava lo spirito dell’acqua è descritto come un vecchietto brutto, grondante fango e ogni tanto con la coda di pesce, ma può cambiare aspetto per breve tempo. Il genio dell’acqua abita in specchi d’acqua e pozzi di ogni genere, soprattutto lo si può incontrare spesso nei gorghi accanto ai mulini ad acqua. Nella mitologia è considerato pericoloso, mentre nelle fiabe non è per forza cattivo, anche se spesso si prefigge il compito di intralciare il protagonista perché non sposi la sua amata, soprattutto se è la figlia del genio dell’acqua.

Uno dei nomi sicuramente più conosciuti nelle fiabe russe è quello di Vassilissa la Bella (in russo Василиса Прекрасная [Vasilisa Prekrasnaja]): una ragazza del mondo mercantile, rimasta senza madre in giovane età e costretta a convivere con la matrigna cattiva. Dolce e ingenua, si trova ad affrontare molte difficoltà, incontra la Baba Jaga, ma tutto poi finisce bene, dato che è aiutata da una Bambolina che le aveva lasciato la madre. Il destino di Vassilissa la Bella riflette la credenza popolare secondo cui i genitori affezionati proteggono i propri figli e li aiutano anche dopo la morte. Non è però la sola donna ad essere protagonista: sotto il segno dell’oro brillano Vassilissa o Elena la Saggissima, principesse di bellezza pari a quella del sole (quindi non descrivibile) e dotate di conoscenza delle arti magiche; talvolta dall’aspetto animale, come ne La Principessa Ranocchia, talvolta guerriere indomabili possono aiutare l’eroe o porgli dei complicati enigmi da risolvere, le perfide.

Infine, il drago Zmej Gorynych, “serpente delle montagne”, è una creatura dalle molte teste simile a un drago: fuoriesce dall’acqua, è in grado di sputare fuoco, talvolta vola su ali infuocate e non di rado vive sulle montagne. Il serpente rapina le donne, assedia le città, difende i confini, ma a differenza della Baba Jaga, non concede trattative e ha sempre un pensiero fisso e categorico: mangiare chiunque abbia intenzione di violare la sua tranquillità o intralciare i suoi piani. Quasi sempre esiste un solo eroe in grado di sconfiggere il drago e che prima o poi arriva e sfida Gorynych a duello.

E ancora abbiamo lupi grigi e destrieri dalla criniera d’oro, zar inflessibili e gomitoli magici, un temibile gatto-moraccio e un gigante immortale, un’aquila dalle piume grigio azzurre e un bastone che picchia senza smettere mai.

Così, se fiabe russe possono esser viste come il ritratto di un popolo leggerle significa addentrarsi in un mondo in cui la natura ha una forza sovrannaturale e l’uomo civilizzato ancora combatte contro la sua parte selvaggia e oscura. Ma resta un mondo ricco di bellezza e poesia e colori sfavillanti, che può ancora incantare con il suo “C’era una volta e una volta non c’era” sia i grandi che i più piccoli.

Pubblicato da ColoRussia

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